Senza corpo. Sui processi in videoconferenza

Senzanome

Una ne fanno e dieci ne pensano. L’ultima trovata del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e del ministero della Giustizia, in materia di annichilimento dei detenuti, riguarda una estensione dell’utilizzo della videoconferenza in sede processuale. Un dispositivo già sperimentato da anni per i reati di mafia e che ora vorrebbero applicare a uno spettro sempre più ampio di imputati. Sono già diverse le richieste avanzate in questa direzione nei confronti di alcuni compagni (Chiara, Claudio, Adriano e Gianluca), già sottoposti a regimi speciali di detenzione quali l’Alta Sorveglianza (AS2). Un ulteriore ingranaggio nel meccanismo, consustanziale al sistema penale, teso ad annullare l’individuo; un tentativo d’indebolire gli anelli della solidarietà; uno strumento in più per facilitare l’emissione di una condanna, una patente violazione del diritto di difesa.

Su tutto ciò abbiamo chiesto alcune delucidazioni a un avvocato che difende i due compagni Adriano e Gianluca.

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